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La cucina a vapore: viaggio nel cuore di un’esperienza

Quanto serve comprendere una cultura culinaria per essere in grado di realizzare dei consoni strumenti di trasformazione? La risposta è in questo racconto, e non è così scontata.

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Il confronto tra culture è un’esperienza delicata, che richiede da parte di chi si avvicina all’altro, l’accettazione di una serie di condizioni e uno stato di apertura mentale. Quando questo confronto avviene su più piani, può dare origine a un percorso in grado di portare in territori inesplorati. Come sempre accade in questi casi, la possibilità di perdersi e quella di tornare con un tesoro, presentano il medesimo tasso di probabilità.

Pensa a questo, Fabio Ferrandino, mentre invia l’email che conferma al cliente la chiusura dei lavori per l’ultimo monoblocco, la Cooking Suite Marrone, sviluppato per un importante ristorante negli Emirati Arabi.

Anche in questa realizzazione è stato inserito uno steamer multifunzione, uno dei tanti elementi che permettono la cottura a vapore.

La cottura a vapore è una tecnica culinaria sviluppata “altrove”, nel senso che non è autoctona rispetto alla cucina occidentale. Alcune tracce ne collocano la nascita in Cina, nella regione dello Yunnan circa 3000 anni fa; altri la fanno risalire al mondo Arabo e a testimonianze del XIV secolo. Di sicuro la sua applicazione ha avuto meno tempo di perfezionarsi nel contesto culturale della cucina europea tradizionale rispetto ad altri metodi, e nonostante da ormai cinquant’anni sia una presenza costante nelle proposte degli chef, ha ricoperto per molto tempo un ruolo secondario nelle scelte dei menù e nella sperimentazione dei cuochi di questo emisfero. Tuttavia, per quasi tutte le cucine asiatiche dal Medio Oriente al Giappone, la cottura al vapore è uno dei cardini sia della tradizione che della ricerca.

Ed è proprio questa ricerca che ha fatto incontrare Roberto e il suo team, i progettisti di Marrone, con le tecniche per cuocere “Zhēng”.

Sono i primi anni 2000 e a Milano si va affermando un nuovo approccio alla cucina cinese. La città ha già sperimentato ampiamente tutte le forme popolari di questa cultura culinaria ed è pronta per affrontare una nuova proposta. Nascono alcuni ristoranti cinesi di alto profilo, spesso specializzati in una singola realizzazione, o espressione di una particolare area geografica o etnica che caratterizzano il sub-continente. Sono luoghi per intenditori: hanno un management preparato e consapevole, il più delle volte nato e cresciuto nelle zone dell’Asia di cui propone le pietanze. Locali di design, alto livello nelle materie prime e nella cura delle realizzazioni di alto livello; prezzi commisurati ad un’offerta di classe, e la legittima ambizione ad un posto tra i migliori ristoranti della città.

È il titolare di uno di questi, seguito dal suo Chef, che una mattina di maggio incontra Fabio per valutare il progetto di una cucina Marrone nel suo ristorante.

Una cucina a vista, come moltissime di quelle ideate e prodotte da Marrone. Una cucina chiaramente disegnata sulle esigenze dello Chef e della sua brigata, sulle loro procedure e sui loro schemi. Una cucina che doveva, naturalmente, avere alcune postazioni per steamer, il sistema per la cottura a vapore necessario ad una gran parte delle preparazioni del locale. La cosa non costituisce un problema agli occhi di Fabio: la totale customizzazione del prodotto Marrone consente tranquillamente l’installazione anche di functionalities di terze parti, per cui sarebbe stato superfluo compiere un intero viaggio di ricerca nella cultura culinaria dello steamer: far riferimento a chi fosse in possesso di un’esperienza consolidata in questo ambito era la migliore idea.

Tornato in azienda, Fabio incontra immediatamente Roberto Verardo e insieme danno il via alla ricerca preliminare. Roberto è un consulente tecnico, un project manager, un commerciale con esperienza, ed inizia la ricerca di uno steamer presso i produttori specializzati. Nel corso di 3 settimane visiona sostanzialmente tutti i produttori orientali di steamer in grado di consegnare una appliance in Italia; sono le migliori aziende di produzione di queste attrezzature, tutte dotate di grande efficienza. Roberto e Fabio però ricevono presto un’amara sorpresa: per motivi legati al funzionamento, nessuna di queste macchine è adatta ad una cucina a vista. L’emissione di vapore, le esigenze di manovrabilità che impongono di “smontare” sostanzialmente i piani di cottura ad ogni nuovo ciclo, i sistemi di controllo e di sicurezza, tutto è tarato sull’idea di ambiente chiuso che in quel momento storico caratterizza un certo tipo di monoblocco cucina.

Roberto e Fabio devono ora decidere il da farsi: per quanto Marrone possieda una consapevolezza ampia dei sistemi e delle tecniche di cucina e un bagaglio tecnologico sufficiente ad affrontare la progettazione di quasi tutte le functionalities di un monoblocco, non si è mai misurata con uno steamer, tanto più a questo livello; è nella posizione di dover reinventare la ruota. Sono giorni tesi e si fa strada perfino l’idea di richiedere una modifica al progetto. È il punto più basso del percorso, un punto a cui i due non vogliono rassegnarsi.

È la filosofia di Marrone a venire in loro soccorso.

Roberto ha ampie competenze di tornitura e fresatura. Nella sua carriera in Marrone ha sempre contato sulla fusione dei due approcci, e l’ha fatto non dando mai per scontato ciò che si può e ciò che non si può fare, guardando sempre e solo all’obiettivo. Un modo di fare che è tutt’uno con l’azienda, e che gli è valso nel tempo la fiducia dei colleghi e della proprietà. Fabio torna dai clienti, analizza, usa la sua esperienza per individuare gli spazi, i flussi di lavoro, le possibilità di soluzione. È con con questa ottica che ripensano al progetto che stanno portando avanti. La domanda non è “quale fornitore devo contattare?”, ma “quale problema devo risolvere?”. In questa prospettiva, la questione dello steamer è posta nei suoi due componenti elementari: quali caratteristiche dimensionali, di temperatura, di gestione deve avere una macchina per realizzare la cottura a vapore, e quali caratteristiche operative deve avere la stessa macchina per poter stare di fronte al pubblico.

Questa posizione rivoluziona il modo in cui Marrone pensa alla cottura a vapore:

inizia uno studio dei vari piatti che devono essere realizzati, finalizzato ad organizzare le necessità tecniche per farle rientrare nello schema operativo della cucina a vista. Il team si sposta e lavora di concerto con lo chef, ma anche con altri cuochi ed esperti di cucina cinese. In capo a qualche settimana, i processi vengono scomposti e analizzati nel dettaglio. La macchina inizia a prendere forma. L’idea che fornisce l’involucro all’analisi è paradossalmente molto semplice: una cassettiera da cucina; all’elaborato sistema di bollitura dell’acqua, con il suo schema di riempimento automatico programmato, viene sovrapposta una cassettiera, rielaborata nelle dimensioni e nei materiali. La trovata è necessaria per contenere il vapore e per indirizzarlo, ma soprattutto per rendere agevole l’operazione di aggiunta e rimozione del cibo. Per aumentare la scenograficità del processo, poi, l’equipe di lavoro immagina di realizzare la cassettiera in materiale trasparente, rendendo la trasformazione culinaria evidente a chi si trovi nelle vicinanze: un’idea di coinvolgimento dell’ospite che è anche una dichiarazione di intenti sulle capacità e sull’approccio sia del ristoratore che del costruttore di cucine.

Ma c’è di più: uno dei punti più complessi della cucina a vapore è legato alla sua controllabilità; si tratta di un sistema molto variabile, nel quale dimensioni, qualità e tipo del materiale da trasformare impattano in modo determinante sui tempi necessari ad ottenere un buon risultato.

È necessaria una grande esperienza ed una mano sicura per cuocere bene a vapore, in quanto non solo ogni trasformazione fa storia a sé, ma anche il cuoco stesso ha scarse possibilità di controllo: la rimozione di un coperchio da un normale steamer al fine di controllare il livello di cottura è un’operazione da compiere di rado durante il processo. Il motivo è legato all’alterazione del microclima interno allo steamer: rimuovere il coperchio (o i coperchi) disperde molto vapore e impatta sui tempi e sul risultato della cottura stessa. Aver reso più semplice l’estrazione e l’inserimento della materia prima consente di verificare lo stato della trasformazione con un minimo impatto su temperatura e umidità dell’interno, e permette allo chef di sperimentare passaggi culinari prima molto più complessi.

Il risultato finale è ben al di là delle aspettative

Dopo essere stata per un attimo ad un passo da rinunciare la squadra marrone consegna un prodotto di eccellenza. La cosa più importante, però, è l’apertura di un nuovo fronte produttivo e commerciale: nessuna goccia di cultura va dispersa, in un’azienda che vive di consapevolezza; nessuna è acquisita invano. Lo sguardo spregiudicato con cui Marrone ha pensato alla propria versione dello steamer, e la conoscenza sviluppata sul contesto culinario che lo utilizza da il via ad ulteriori ricerche; in breve l’azienda può contare su un ulteriore vantaggio tecnologico da aggiungere al proprio modo di operare nel proporsi ai patron di grandi ristoranti, ai kitchen consultant e ai food and beverage manager delle strutture del lusso, a chef emergenti o a quelli consacrati che debbano mettere mano al proprio ristorante.

Lo steamer diventa un elemento abilitante per l’introduzione di questo metodo di cottura anche in altri contesti, agevolando la contaminazione e la creatività che sempre sono madri dell’evoluzione nelle arti, tra le quali la cucina non fa eccezione.

Ad oggi, Roberto e Fabio amano pensare a quella singola intuizione come la prima di una lunga serie che ha fatto di Marrone, tra le altre cose, una delle aziende più all’avanguardia su tecniche di cottura proprie di singole aree culinarie, ed uno degli interlocutori più attenti sia della cucina etnica ad ogni latitudine, che degli sperimentatori della trasformazione del cibo.

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